Nel momento in cui uno ha la necessità (o la voglia) di esporsi le prime persone che incontra sono le persone che lo conoscono (in generale).
C’è un però. Quelli che ti conoscono non conoscono solo quello che gli stai mostrando, ma anche tutto il resto: chi sei, che scuola hai fatto, chi sono i tuoi amici, quali sono i tuoi hobby, il tuo livello di estroversione, le tue relazioni, le tue doti sportive e, in generale, il modo in cui ti sei approcciato al mondo fino a quel momento e la tua posizione nel circolo sociale. Ogni cosa che farai sarà sempre vista attraverso quel filtro. Più uno extra, che metterò alla fine: sei uno di loro.
Quindi, soprattutto per una persona tendenzialmente introversa, nel momento in cui si vuole rendere pubblico qualcosa la prima domanda che nasce è: come lo vedranno gli altri? Dove “gli altri” sono gli altri che mi conoscono.
Se non ti conoscessero il modo sarebbe diverso. Forse più leggero, meno ragionato, più superficiale, e quindi peggiore, ma forse più spensierato, più sincero, oltre lo schema nel quale ci sentiamo incastrati, e soprattutto senza conseguenze sociali dirette.
La contraddizione è già evidente: per acquisire popolarità bisogna approcciarsi a gente che non ci conosce, eppure, se ci si confronta inizialmente con chi ci conosce e ci si adatta ad essi, si otterrà un effetto che non sarà ottimale per chi non ci conosce. Allo stesso modo, però, chi non ti conosce non saprà mai niente di te se ti approcci nel modo sbagliato verso chi ti conosce supponendo che questi siano i primi che effettivamente incontri.
Un primo modo per superare l’inghippo è approcciarsi come se nessuno ti conoscesse. Le conseguenze sono un alto imbarazzo tra la gente, che però, ho il sospetto, si abituerà velocemente. Quindi è necessario più che altro il coraggio di esporsi in questo modo così socialmente inetto se considerato solo all’interno del proprio circolo. Questo però significa crescere all’inizio più lentamente, perché la strategia non è ottimale verso quelli che ti conoscono, che sono i primi a essere coinvolti.
Un secondo modo arriva dai social. Essi permettono di raggiungere direttamente persone che non ci conoscono, saltando così il passaggio per le conoscenze. Il però è che si perde un potenziale supporto iniziale di chi ci conosce. Sospetto che la cosa migliore dipenda molto dalla personalità del singolo.
Perché pensiamo così tanto a quelli che ci conoscono?
Il problema nasce dal fatto che il nostro cervello non è fatto per vivere in una società così ampia. Letteralmente non è programmato per questo. Il nostro cervello si è evoluto per vivere in comunità estremamente ridotte (nell’ordine delle decine), e in uno scenario di quel tipo è ovvio che bisogna fare tutto con attenzione. Perdere la faccia significa perderla per davvero, e per sempre. Da quel punto di vista, è vantaggioso stare attenti a quelli che ti conoscono, perché sono gli unici che conoscerai per tutta la tua vita.
Non so se questo significa che nel nostro mondo sia vantaggioso fare il contrario. Nel mio caso, sono sempre stato condizionato dal sapere che la gente mi conosceva. Questo ha comunque effetti positivi, come il ragionare bene sulle cose e voler curare tutti i dettagli. Dall’altro lato, però, blocca in un angolo da cui è difficile uscire.
Ultimamente sto ragionando sulla necessità di aprirsi, sempre con decenza e circostanza, ignorando quelli che ti conoscono. Tanto ho l’impressione che a nessuno freghi niente. E soprattutto per uscire nel mondo fuori, come mostra la contraddizione, non bisogna essere in nessun altro mondo. Altrimenti si parlerà solo a quello. E quello è il mondo dei nostri amici e dei nostri vicini di casa, ma rimanere lì significa tenere fuori tutto il resto.
Extra: “Sei uno di loro”
Lo diceva già Gesù: “Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. Non per fare retorica, ma il meccanismo del confronto si crea solo con chi si conosce, o più in particolare con chi è nella posizione di pensare potevo farlo anch’io. Se un trentenne americano diventa famoso, che problema c’è?, ma se a esporsi è il tuo compagno di classe delle medie, senza una famiglia particolarmente ricca, senza nessuna opportunità che noi stessi non avremmo potuto avere, allora c’è un problema. E quindi nasce il meccanismo di gelosia che tende a quelli che ti conoscono di dover passare prima per l’accettazione del fatto che tu ti stai esponendo, e magari lo stai pure facendo bene.
Tutto questo per dire che c’è un’ulteriore barriera da considerare nel processo che porta da quelli che ti conoscono a quelli che non ti conoscono. Non succede sempre, soprattutto con gli amici più stretti e quelli che sentono la tua storia e ti aiutano a rifletterci e vedono la difficoltà che hai nel farlo. Ma era giusto citarlo.